L’Officina Santhomé prende forma all’inizio degli anni 80 all’interno di un laboratorio di vetrate artistiche.
Questo diventa un luogo di riflessione ed elaborazione di inedite relazioni con gli spazi dell’abitare, dell’architettura e più in generale con le problematiche dell’arte contemporanea.

Franco Bianchetti, ideatore dell’Officina, scelse di utilizzare nelle sue indagini artistiche il vetro, individuando in questa sostanza delle qualità che avevano notevoli consonanze con lo spirito e le dinamiche della civiltà elettronica.

…”Costruire forme di luce. Costruire forme con la luce. Costruire forme nella luce.
Questa è la grande ambizione di Franco Bianchetti che usa il vetro come materiale di una fantastica tavolozza”…  

cit. Attilio Pizzigoni

Questo antichissimo materiale, protagonista di un affascinante e complessa tradizione, può, quando creativamente interpretato, esprimere sorprendenti analogie e legami con i più innovativi strumenti informatici.

L’incessante e artificiosa irradiazione luminosa sembra pervadere ogni aspetto della vita, generando straordinarie e mutevoli aperture, ma, allo stesso tempo, determina una difficoltà a rendere stabili e concrete le forme della conoscenza.

Anche per questo è sentita con urgenza la necessità di immaginare “luoghi di sosta”, di stabilità, dove i segni e i significati possano consistere ed ed essere compresi e riconosciuti con più chiarezza.

 

Nell’Officina si cerca di trovare ed elaborare questi spazi, avvalendosi soprattutto di lastre di vetro.